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Pensiamo al referendum del 20 settembre

10 settembre 2020

Io devo votare prima degli italiani residenti in Italia, perche’ vivo all’estero. Quindi ho iniziato a pormi il problema: cosa votare?

Google mi ha indicato due fonti conoscitive: Wikipedia e il Corriere che mi hanno aiutato a capire i contorni della cosa. Del resto, sono venuto a conoscenza di questo referendum solo perche’ il Consolato mi ha spedito a casa la scheda per votare (come accade a tutti gli italiani residenti all’estero).

La mia prima idea intuitiva e’ stata un Si’, anche se i grafici del Corriere con il confronto internazionale non sono belli. Nel senso che mostrano che con il Si’ il numero di parlamentari italiani diventerebbe molto basso a confronto con gli altri paesi europei.

Ho quindi iniziato a chiedere in giro per sapere come chi conosco e’ orientato e per sapere i motivi del loro orientamento.

Il Si’ e’ diffuso generalmente motivato dall’insofferenza per la classe politica. Anche il No e’ diffuso, e motivato in genere per il fatto che il Si’ non e’ una vera e propria riforma/ e’ una riforma fatta male.

Ho allora iniziato a pensare.

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Chi vota No perche’ la riduzione di parlamentari cosi’ fatta non ha senso ha ragione. Una operazione del tutto estemporanea e non organica. Non e’ questa una riforma vera. Non aiuta il Paese ad essere un Paese migliore. Sono d’accordo.

D’altro lato chi vota Si’ sente il bisogno di fare qualcosa per correggere gli estremi della politica italiana come li stiamo discutendo perlomeno dagli anni ’90 (Wikipedia, per quel che vale, dice che il dibattito parti’ negli anni ’70 successivamente all’introduzione delle Regioni). E via dicendo il discorso populistico di questa politica che non fa gli interessi dei cittadini.

A questo punto ho cercato di allontanarmi dal problema, per dare una prospettiva.

Da un certo punto di vista, il Si’ e’ un segnale populista, e’ una trovata Trumpiana/ Salviniana, una ipersemplificazione. Come tale, piu’ di una antenna si alza per annusare: quale pericolo e’ insito nel Si’? Ci portera’ ad una deriva fascisto/ populista come l’Ungheria o la Polonia?

Per contro, il No e’ come un segnale Clintoniano, un messaggio alla Hillary Clinton 2016. Il passato, la costanza, le cose vecchie noiose che non cambiano e non eccitano. Lanciamo i droni e lasciateci fare noi che la politica sappiamo cosa e’.

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Da un altro punto di vista, mi sono messo a pensare: quali sono le conseguenze della vittoria dei Si’ o della vittoria dei No?

Nel grande schema delle cose, quali sono i pericoli che l’Italia corre adesso e come il risultato di questo referendum potrebbe impattare su questi rischi?

Photo by Luis Villasmil on Unsplash

I problemi epocali dell’Italia si sanno: debito pubblico, carenza di legalita’, sistema legale bizantino. Piu’, come accennato sopra, una tendenza al populismo (condivisa con le altre nazioni europei) che implica rischi di violenza.

Come potrebbero impattare una vittoria del No o del Si’ su questi fattori? Mah, secondo me non impatterebbero per nulla. Il debito, la legalita’, il bizantinismo rimarranno e continueranno nella loro evoluzione. I rischi violenti del populismo rimarranno e non saranno cambiati da una vittoria del Si’ o del No.

Continuando sulle conseguenze della vittoria del Si’ o del No.

Cambiera’ qualcosa in Italia se vincera’ il No o il Si’? Probabilmente no.

Se vincera’ il No le cose continueranno come ora. Nessun cambiamento.

Se vincera’ il Si’ le cose non peggioreranno.

Ma, se vincera’ il Si’ due cose si avvereranno:

  • La vittoria del Si’ eliminera’ molto volume di fuoco da parte dei populisti. Avranno, finalmente, la riduzione del numero di parlamentari. Spuntato. Iniziamo a parlare di qualcos’altro adesso.
  • In aggiunta a questo fattore, dato che questa non e’ una riforma ma un cambio importante ma non organico nella struttura della politica nazionale italiana, ci sara’ un forte incentivo a discutere una nuova legge elettorale e configurazione della struttura geografica della politica nazionale italiana. Questa sara’ un occasione, una accelerazione da sfruttare. Date le esperienze dei decenni passati, non sono particolarmente ottimista che qualcosa di idealmente ottimo ne nasca, ma perlomeno l’incentivo ci sara’.

Per questi due motivi, ho deciso di votare Si’.

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Il film su Pantani

4 settembre 2015

L’anno scorso e’ uscito e non me ne sono accorto, e questa settimana, complice il mal di schiena che mi ha tenuto a letto e l’abbonamento di prova che F ha fatto a Netflix, mi sono goduto il film su Pantani. Pantani, la morte accidentale di un ciclista, nella versione inglese del titolo. Anche perche’ fuori dall’Italia se non menzionavi la parola “ciclismo” nel titolo probabilmente pochi potevano capirne il contenuto dal solo nome di Pantani.

Un film bello, magnifica fotografia, magnifici suoni, magnifiche soggettive di come e’ andare in bicicletta, come sappiamo noi fortunati che abbiamo potuto gustare il suono e il sapore dell’asfalto e dell’erba e il profumo del vento quando eravamo giovani e forti.

Le recensioni sono discordi sul valore del film. Tutti sono d’accordo che e’ un bel film, ma a livello di contenuti, la tesi del complotto contro Pantani e’ sposata come un apriori, e questo incide sulla credibilita’ fattuale del documentario.

Inevitabile il confronto con Amstrong, sia il personaggio sia il film fatto su di lui. La mia prima reazione e’ stata, si’ ma Amstrong e’ Ammerikano, non merita compassione, pieta’ o simpatia.

In realta’ l’Amerikanismo dell’Amstrong non c’entra. C’entra che Amstrong era un “approfittatore”, ed e’ vivo, mentre Pantani era davvero un “ragazzo romagnolo”, ed ora e’ morto. Ho visto il documentario su Amstrong, e mi ricordo la casa lussuosa in cui vive. E in effetti uno come Amstrong non lo si puo’ che solo disprezzare.

Pantani no. Pantani e’ stato un eroe nazionale, un eroe con tutte le declinazioni di tragicita’ che la figura dell’eroe deve avere. E il groppo alla gola e le lacrime, durante e alla fine del film, sono garantite.

L’Italia e la guerra

17 febbraio 2015

Odo messaggi bellicosi che arrivano dal Bel Paese.

L’Italia non puo’ fare una guerra per 3 ragioni: 1) non ha le risorse, 2) non ha la tradizione militare, 3) non ha la classe dirigente adatta.

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Non ha le risorse: non ci sono i soldi. La guerra e’ una attivita’ estremamente costosa; il debito schizzerebbe al 200-300% del PIL e negli anni successivi alla fine della guerra ci sara’ poverta’ e guerra civile. Abbiamo gia’ visto.

Non ha la tradizione militare. Si parla qui sia di tradizione militare di lungo periodo (l’Italia come nazione non ha mai avuto pieni successi militari) ma soprattutto di breve periodo. In Italia non ci sono forze armate fatte da persone che hanno realmente combattuto negli ultimi 10-20 anni. La guerra e’ una cosa complessa che richiede esperienza.

Non ha la classe dirigente adatta. Questo e’ un ampio discorso; avro’ forse pregidizi, ma l’impressione e’ che comunque in Italia manchi una classe dirigente con effettivo contatto con la realta’ – le capacita’ di organizzare cose complesse forse ci sono, ma sono di certo ben nascoste.La guerra e’ una cosa complessa che richiede organizzazione e senso della direzione.

Questo non vuol dire che un parlamento italiano non dichiarera’ guerra nel prossimo futuro. Vuole dire che quando lo fara’ portera’ al disastro la maggior parte degli italiani e dei residenti in Italia.

In Italia ci vorrebbe una Thatcher

14 aprile 2013

La frase, se non ricordo male, non e’ mia, ma di un mio amico, detta anni fa.

Mi e’ tornata in mente in questi giorni di Aprile 2013, dove, qui in Regno Unito, si sono susseguiti i ricordi in onore della signora Thatcher nei giorni sucessivi al suo decesso.

Non dico che ci vorrebbe una signora Thatcher per riproporre letteralmente le sue politiche. L’Italia del 2013 non e’ il Regno Unito del 1979.

Ci vorrebbe una persona con il suo spirito il suo coraggio la sua convinzione per raggiungere un obiettivo: salvare l’Italia dal declino.

Ma, c’e’ un ma anche qua. Appunto, l’Italia del 2013 non e’ il Regno Unito del 1979. Il Regno Unito aveva una memoria di un impero e una memoria viva di una guerra (la seconda guerra mondiale) che ha forgiato il suo senso di unita’ e identita’ nazionale moderno, includendovi sia il senso di solidarieta’ tra i suoi cittadini sia il senso di essere dalla parte del giusto – contro l’Impero del Male, e di aver vinto.

Insomma, la situazione italiana di oggi non e’ simbolicamete transabile. E’ impossible riportare l’Italia ad antiche glorie, perche’ semplicemente non ci sono, se non tornando all’epoca dei comuni medievali (come alcuni molto debolmente suggeriscono – vedi Boldrin) o addirittura all’Impero Romano (ci hanno gia’ provato e non e’ andata particolarmente bene …).

Il passato dell’Italia, negli ultimi 500 anni, e’ un passato di fallimenti. Come fare a trovare un senso di urgenza, di identita’ e solidarieta’ nazionale, in questo contesto?

Riflessioni Italiane

29 marzo 2010

La prima impressione, scendendo la scaletta dell’aereo, è l’odore di sisso, l’odore forte della pianura padana. E mi sono sorpreso a ridere a questa constatazione.

Per il resto, per quanto il mio campione geografico si riferisca ad una parte della città di Parma e dell’Appenino parmense, ho trovato l’Italia in buona forma, a dispetto del pessimismo dilagante che si respira nei dialoghi mormorati tra le persone. La piccola città era viva e piena di fermento; al sabato mattina, complice il sole caldo, fiumane di persone si riversavano speranzose nel centro. Il Mu era pieno di gente che voleva divertirsi.  Nel piccolo comune di montagna il nuovo dinamico Sindaco invitava i cittadini a farsi volontari per la pulizia e la cura dei cimiteri. La gente sorride.